Walter Chiari, appartiene di diritto alla categoria degli immortali, ma anche se molti non lo sanno, il pugilato ha attraversato da protagonista la vita di questo grande personaggio. Nonostante le sue grandissime performance recitative, purtroppo a Walter Chiari non venne mai riconosciuto nessun merito a livello di premi, e questa è una gravissima mancanza, per un uomo che ha dato moltissimo al cinema al teatro, ma soprattutto al pubblico italiano.
Sandro Mazzinghi, il quale lo ricorda come un grande tifoso, grandissimo artista, ma soprattutto uomo buono, vuole riproporvelo come un grande del passato e vi invita a leggere questa "chicca" di Giuliano Orlando, autorevolisima penna del nostro giornalismo, tratta da sito web di Mondoboxe.
Mattina del 20 dicembre 1991, venerdì. Mi telefona un amico.
"E' morto Walter Chiari". Non trovai le parole per rispondere. Mi prese un nodo alla gola e rimisi giù la cornetta. Conoscevo Walter da molti anni. Meglio dire che mi onoravo della sua amicizia, nata non a teatro ma a bordo ring. Lui era già famoso, aveva girato film e in teatro era il mattatore capace di farsi ascoltare per ore, non come attore davanti al pubblico, ma uno capitato per caso che ti racconta episodi di straordinaria normalità, facendoti ridere a ruota libera. Io, alle prime armi in quel lavoro che mi accompagna ancora oggi. Potrei sbagliare, ma credo di ricordare che il primo incontro avvenne al Vigorelli nel '63, in occasione del mondiale di Mazzinghicontro Ralph Dupas per i medi jr. Chiesi un suo parere sul match e la risposta fu un fiume di parole. Amava la boxe quasi quanto il teatro.
Quel giorno di fine dicembre fu più triste del solito. Sapevo che non godeva di buona salute, che il cuore faceva i capricci. Un anno prima era rimasto a lungo al "Niguarda", dopo una ischemia cerebrale. Aveva ripreso a lavorare con grande vigore, ignorando volutamente che viaggiava verso i 67 anni. Nato l'8 marzo 1924 a Verona, vero cognome Annichiarico. L'ultimo ricovero ai primi di dicembre: un intervento al S. Carlo, per problemi vascolari derivati dall'ernia. Non ci avevo capito molto. Era uscito apparentemente senza conseguenze, col solito sorriso e la fiducia nel domani.
Avevo chiesto notizie a Gino Bramieri, altro personaggio fantastico, grande amico di Walter. Lo sapevate che anche il Gino fece esperienza di ring nella stessa palestra? Tre incontri da dilettante: due vittorie e una sconfitta per KO. Mi raccontò: "L'avversario pareva un bamba, lento e tutto chiuso. Pensavo di metterlo giù. Invece all'improvviso mi rifila una 'saponetta' che mi ha fatto dormire un giorno. Meglio il teatro, ma quando andavo a vedere Loi era come essere alla Scala".
Il giorno prima della scomparsa era stato ospite del comico milanese al "Manzoni" impegnato nella commedia "Foto di gruppo con gatto", portando champagne e cioccolatini alla compagnia e whisky per Gino.
Walter risiedeva al "Residence Hotel Siloe" in zona Niguarda, Nord di Milano, complesso abbastanza anonimo. Un bilocale arredato col minimo indispensabile, cucina e soggiorno dominati da una grande poltrona davanti al televisore, vicino a dove abitavo io. Un episodio me lo renderà indimenticabile. Giugno 1982: ricevo una chiamata in redazione, è Walter Chiari che senza troppi preamboli, come ci fossimo sentiti pochi minuti prima, per la verità ero sempre stato io a chiamarlo, spesso a vuoto, mi apostrofa così: "Complimenti Rocky Giuliano, ho visto a "Blitz" la presentazione del tuo libro "La storia del pugilato". Addirittura Nino Benvenuti e nientepopòdimeno che Cassius Clay (lo chiamava così) come padrini, accipicchia che lusso. Gianni Minà (il conduttore e buon amico) è una potenza in queste occasioni. Sarà sicuramente un bellissimo libro, tu sei bravissimo. Peccato non l'abbia ancora potuto leggere. Quando me lo porti?"
Potrebbe sembrare incredibile, ma per far combaciare la presentazione del libro e la presenza di Clay in Italia, ero andato direttamente negli stabilimenti dove la "Longanesi" aveva la tipografia, prelevandone una decina di copie, che lasciai a Gianni, assolutamente necessarie per sveltire i vari passaggi.
Il libro, ufficialmente sarebbe uscito alcune settimane dopo. Dovetti attendere infatti parecchi giorni prima di poter entrare in possesso delle "dieci copie" che mi spettavano come autore. A quel punto chiamai Walter avvisandolo che gli avrei portato personalmente la mia "opera".
Ci pensò qualche istante, poi fissò l'appuntamento nel pomeriggio (così mi disse) di un giorno che adesso non ricordo quale fosse. Ebbi la fortuna di trovarlo e fu quella l'unica volta che potei parlare con Walter senza interruzione, per diverse ore. L'avevo intervistato spesso al telefono, un po' meno a bordo ring, raramente nel dopo boxe al ristorante. Una volta a Roma, in una riunione di Rodolfo Sabbatini con Monzon, nel marzo del 1972. L'indio di Santa Fè aveva fatto fuori Dennis Moyer, un americano dal buon passato e un futuro incerto, con la solita facilità e crudeltà. Irridendo l'avversario al tappeto.
Walter non aveva più la faccia da ragazzino, ma quando rideva sembrava che gli anni scomparissero. Le molte rughe si aprivano e gli occhi ritrovavano gli antichi bagliori. In una cosa non cambiò mai: la loquacità. Ebbe a dire di lui Indro Montanelli, che lo conosceva bene: "Un tribunale serio ti darebbe trent'anni per lo sperpero che fai del tuo talento. Una bestemmia contro chi te l'ha dato, un furto ai danni del pubblico. In nessun palco del mondo ho visto un fantasista capace di "inventarsi" ogni sera".
Negli anni '80 le sue avventure erano ormai ricordi. I viaggi in Australia ad inseguire Ava Gardner, l'amore con Lucia Bosè, forse quello più profondo, il matrimonio con Alida Chelli e la nascita di Simone nel '71. Andando più indietro, nel 1945/46, quando ventunenne sostiene il ruolo di boy nella compagnia di Marisa Maresca, procace soubrette che adotta e ipoteca il giovanotto in senso pieno. Non frequenta più la palestra, ma trova il tempo per scappare dalla pressione di Marisa che lo marca a tutto campo, per scivolare sul Naviglio con i canottieri dell'Olona o prendere parte al cimento invernale, sempre sul Naviglio.
Quanti amori, professionali e sentimentali, potremmo dire. Le cronache hanno fatto incetta di nomi, oltre alle già citate: Mina, Delia Scala, Elsa Martinelli e Maria Gabriella di Savoia, fino al legame con Patrizia Caselli, una marea d'anni meno di lui, successivo al matrimonio concluso dopo meno di tre anni. Dico questo per far capire ai giovani il personaggio, unico e insuperabile. All'attivo 119 film, per 40 anni ha calcato tutti i teatri, compreso Broadway. Amava la gente, ma spesso si trovava solo e triste. L'inventore del "sarchiapone" che appassionò l'Italia degli anni '60 e '70, vent'anni ruggenti in Tv, con tutte le donne più importanti del piccolo schermo. Tra l'88 e il '90, riprende la sintonia col cinema, poi chiede strada come autore, con minore successo.
Quando andai a portargli il libro mi accolse come un vecchio amico. Lo sfogliò interessato. Commentò le foto, in particolare i grandi pugili del passato: "Dovevano essere di una resistenza incredibile, che campioni Joe Louis e Marciano, straordinario Sugar Robinson, il mio preferito (anche il mio), non ci sono Spoldi e Bosisio, neppure Orlandi, peccato. Guarda Duilio, un genio del ring, bravissimi anche Benvenuti e Mazzinghi Arcari l'ho visto poche volte in tv.
Con Bossi sono amico. Lo sai che ho fatto pugilato per quattro anni?". Lo sapevo, me lo aveva raccontato diverse volte. Quella volta aggiunse qualcosa: "Ho trascorso la mia infanzia ad Adria (Rovigo), quando scoppiò la guerra ci siamo trasferiti a Milano. Mia madre Enza era maestra, mio padre Carmelo pugliese di nascita, appuntato di Pubblica Sicurezza. Poi venne assunto alla Isotta Fraschini, era il 1939. Avevo 15 anni e giocavo a pallone. Una fulmine, ma talmente magro che mi suggerirono di andare in palestra a mettere qualche muscolo. In effetti cadevo da solo in velocità, tanto ero leggero. Nel dopolavoro della fabbrica ne funzionava una, molto frequentata. Quando mi avvicinai la prima volta trovai uno con la faccia rotonda e rossa, sembrava Croc, era l'istruttore ma io non lo sapevo. Gli chiesi se in quel locale insegnavano a tirare pugni. Mi guardò abbastanza serio: "Figliolo non vedi? Non penserai che sia una rivendita di mentine. Vuoi provare anche tu?". "No grazie, ho sbagliato" risposi. La notte non riuscivo a dormire. Pensavo se dovevo andare da quel tizio oppure scappare appena lo rivedevo. Il giorno dopo mi presentai e sull'attenti, chiesi di poter imparare a fare la boxe".
Riprendo quanto mi raccontò Libero Cecchi, allora insegnante al dopolavoro "Isotta Fraschini", che tenne a battesimo l'allora Walter Annichiarico, non come attore di teatro e cinema ma come pugile: "Nonostante fosse un grissino, possedeva una vitalità incredibile e parlava con tutti. Dovevo urlargli di tacere, altrimenti mi mandava in tilt i ragazzi. Trovava argomenti su qualsiasi cosa. Ma si applicava più degli altri. Alto un metro e ottanta, faticava a superare i 54 chili. Un Ghandi. Nei mesi successivi mise qualche muscolo, non troppi anche perché non stava mai fermo. Lo feci debuttare come peso gallo, poi passò nei piuma e come tale nel '40 disputò i campionati lombardi giovanili e li vinse pure. Non andò mai agli assoluti, perché nel frattempo aveva iniziato a fare teatro o qualcosa di simile. Se non ricordo male, come ballerino, quelli di fila. Abitava in zona Garibaldi, ma si spostava sui Navigli, da quelle parti nascevano compagnie di rivista, dove oltre ai ballerini cerano pure le ballerine e Walter era molto attento all'altra parte delle mela. Una volta mi raccontò che aveva preso parte all' "Ora del dilettante", credevo si trattasse di un torneo di boxe, invece era una selezione per la rivista. Sostenne quel provino all'Olimpia di Largo Cairoli, che non c'è più". Aveva qualità pugilistiche?
"Non era certo negato, portava colpi veloci e potenti, vinse parecchie volte per ko, si muoveva molto. Sapeva anche legare, non voleva farsi segnare in faccia. Ma quello che sconcertava era la sua inventiva. Già attore in palestra. Tra una pausa e l'altra andò avanti fino al '42, mettendo assieme più di trenta incontri. Poi, dopo l'ultima "fantasia", lo consigliai da amico di scegliere il teatro". Accettò il mio consiglio, forse aspettava quell'invito, per dare sfogo alla vera vocazione.
Anche Libero Cecchi ha compiuto una bella carriera. Fondò una scuderia nell'immediato dopo guerra. Nel 1956 pilotò il peso gallo Mario D'Agata, sordomuto dalla nascita, al mondiale e dopo 14 anni nel '70, raggiunse lo stesso traguardo conCarmelo Bossi tra i medi jr. In trent'anni all'angolo, ha guidato centinaia di atleti, affiancato nell'ultimo decennio dal figlio Francesco. Solo per citare gli ultimi che hanno toccato traguardi notevoli ricordiamo Giancarlo Gabelli , Mario Vecchiatto, Carlo Duran, Paolo Curcetti e Renato Galli . Una volta ritiratosi condusse la "Pizzeria Cecchi" col figlio in via Porpora, non lontano dalla Stazione Centrale. Fumino come i migliori toscani, aveva un cuore d'oro.
"Quando invitavo Walter e il suo amico Grilli, quello che lo aveva portato in palestra, dovevo stare attento perché mi mangiavano anche le sedie. Per non parlare delle serate dopo la palestra. Mi raccomandavo di non frequentare cattive compagnie. E loro sai cosa rispondevano? "Maestro noi restiamo, lei è il nostro cavaliere". Traduzione: al cinema o in qualsiasi altro locale, pagavo per tre. Benedetti ragazzi. Quante ne combinava il Walter. Una sera gli faccio fare i guanti con Sansone, un peso massimo niente male (nel 1945 a Novara divenne campione italiano dilettanti), ma ingenuo da non credere. A metà della ripresa salta la corrente, si resta al buio. Passano alcuni minuti e quanto la corrente torna, assistiamo ad una scena incredibile: Walter è attorcigliato alle corde come un salame. Un lavoro incredibile, nel più assoluto silenzio. Risata generale. Sansone il più sorpreso, viene accusato di essere l'autore del misfatto. Walter una volta "slegato" si mette in guardia per lavare l'onta. Sansone è talmente "plagiato" che comincia a pensare di essere stato lui. Ci vuole del bello e del buono per convincerlo dello scherzo. Non parliamo delle facce, quando combatteva. Anche gli avversari ridevano. Era un problema pure per l'arbitro, impreparato a tale situazione. Arrivai a promettergli cappuccino e brioche, se la smetteva. Durava una ripresa, poi ricominciava".
Walter aggiunge qualche altra perla: "Una sera a Novara, il signor Libero, mi avvisa che l'avversario è piuttosto piccolo. "Vedi stare un po' curvo, almeno all'inizio". A quei tempi mica ci pesavano, andavano a occhio. In effetti era davvero più basso, diciamo sotto l'ascella. Salgo sul ring e quando l'arbitro ci chiama, mi rannicchio sotto l'asciugamano così bene che sembro più piccolo dell'altro. Mentre fa il fervorino, comincio a crescere fino all'altezza giusta, l'arbitro è sbalordito, incredulo della mia lievitazione in pochi secondi".
Ai tempi della "Dolce vita" Non solo pugni. Mi confida che molte delle storie passate sul palcoscenico sono nate durante le trasferte come pugile.
"Il "burino" alla partita di pallone, l'imitazione di Hitler e altre sono spuntate quando facevo disperare il signor Libero. La storiella del sottomarino nacque sul treno Milano-Lodi, dove la squadra andava a combattere. Mi ero attaccato alla maniglia dell'allarme e ripetevo pronto, ricevuto e passo, fra le risate dei compagni. Col tempo le perfezionai". Quella del rannicchiarsi era un'abitudine provata diverse volte.
Sono passati quasi 15 anni dalla sua scomparsa, e 23 dalla mia visita a Walter. In quell'occasione mi parve tutto normale. La lunga chiacchierata e la modestia dell'alloggio, lui che aveva soggiornato negli alberghi più lussuosi del mondo, che nel cuore degli anni '50 ebbe il suo apogeo con Ava Gardner una delle star americane più amate..
A ripensarci, non avevo capito di godere dell'amicizia di un grande artista del palcoscenico leggero. Quello che la gente preferisce. Adesso capisco e lo ringrazio. Chissà che fine avrà fatto il mio libro con dedica.
Ad un campione, dentro e fuori dal ring.
Giuliano Orlando